La vendetta di Paolo






Buonasera miei cari amici, oggi vi porto un nuovo ed interessantissimo racconto dell' Avvocato e giallista romani Gianluca Arrighi. Buona lettura.




LA VENDETTA DI PAOLO


Quando Paolo Longo lasciò il carcere di Rebibbia aveva in testa un solo pensiero: vendicarsi. Aveva trascorso dietro le sbarre l’ultimo anno della sua vita e adesso, finalmente, era giunto il momento di regolare i conti. Paolo era un esperto di esplosivi, un criminale “raffinato”, considerato nell’ambiente malavitoso tra i più quotati specialisti in armi e munizioni. Tuttavia l’incontro con Jack Belladonna, un italo americano che nell’ultimo periodo aveva scalato le gerarchie criminali, gli aveva causato non pochi problemi. Belladonna, infatti, aveva “assunto” Paolo per effettuare una serie di furti presso i bancomat di uffici postali e istituti di credito. Un buon affare, e soprattutto ben remunerato. La tecnica da utilizzare era quella dell’acetilene, un modus operandi che richiedeva sempre l’intervento di un “esperto”. Il gas doveva essere sapientemente immesso nelle feritoie dalle quali veniva distribuito il denaro ai clienti. Poi, una volta che l’acetilene si fosse saturato all’interno della cassa blindata, un innesco elettrico avrebbe provocato la deflagrazione facendo saltare in aria lo sportello. Si trattava di un lavoro delicato, da vero professionista. Il rischio di distruggere le banconote era elevatissimo. Ma Paolo Longo era il numero uno, calcolava ogni rischio e non aveva mai fallito un colpo. Quella volta, però, l’affare era andato in malora. Gli inquirenti tenevano da tempo sotto controllo Belladonna e i suoi telefoni erano intercettati. Quando scattarono le ordinanze di custodia cautelare, Jack Belladonna venne arrestato e nei successivi interrogatori scelse di collaborare con le forze dell’ordine, fornendo tra l’altro le indicazioni per scoprire i nascondigli dei complici rimasti latitanti. Grazie al suo “pentimento" Belladonna venne scarcerato quasi subito, mentre Paolo finì in gattabuia.


Per attuare la sua vendetta, Paolo aveva elaborato un piano ben preciso. Era certo che Jack, lungi dall’essere pentito, avrebbe presto ricominciato a delinquere. E così era avvenuto. Paolo era quindi riuscito a ottenere un incontro con Belladonna, fingendo di volergli proporre un nuovo colpo che avrebbe consentito a entrambi di fare talmente tanti soldi da potersi poi addirittura ritirare dal giro. Il boss aveva abboccato. Il vecchio Jack, dopo le sfortunate vicissitudini giudiziarie e nel timore di finire ancora dietro le sbarre, aveva però iniziato a gestire i suoi affari da un luogo segreto, conosciuto solamente dai suoi fedelissimi e nel quale riceveva le poche persone “autorizzate” a conferire con lui.


Gli scagnozzi di Belladonna erano in ritardo e Paolo iniziava a spazientirsi. Dopo essere uscito dal carcere, aveva affittato un squallido monolocale sul lungomare di Ostia ed era lì che stava aspettando. Poi, finalmente, udì alcuni passi che si avvicinavano. Diede un’occhiata all’orologio che aveva al polso e regolò in un determinato modo l’oggetto che portava nascosto su di sé. 


L’appartamento dava direttamente sulla strada e la porta era aperta. Gli uomini di Belladonna entrarono senza bussare, erano in tre. Lo perquisirono e poi lo accompagnarono fuori, dirigendosi verso una grossa automobile. Lo caricarono a bordo. Era circa mezzanotte e la strada era deserta. Uno dei tre uomini si mise alla guida e poco dopo si fermò in un’area sterrata. Là gli scagnozzi di Belladonna lo bendarono e gli legarono le mani dietro la schiena. Poi l’auto si rimise in moto, dolcemente e silenziosamente. Paolo non fece nessun tentativo di memorizzare il percorso seguito dalla macchina, sarebbe stato inutile. Abbandonato contro lo schienale dell’auto, ripassava a mente il suo piano. La strada sembrò piuttosto lunga. La cosa che preoccupava maggiormente gli uomini di Belladonna era che Paolo potesse raccogliere qualche indicazione sulla località in cui si trovava il loro capo. Perciò, qualsiasi itinerario stessero seguendo, non era certamente il più diretto.
Alla fine arrivarono. 


Paolo venne fatto scendere dalla macchina. Fu trascinato a piedi per un breve tragitto, spintonato al di là di una porta e poi scaraventato su un letto. Gli slegarono le mani, ma lo lasciarono bendato. “Un letto”, pensò Paolo, “bene." Questo voleva dire che Belladonna disponeva probabilmente solo di quella stanza. Aumentavano, di conseguenza, le probabilità che il suo piano andasse a buon fine. Quando riconobbe l’inconfondibile voce roca di Jack Belladonna, Paolo recitò la sua parte, provando una sensazione d’inconsueta allegria. Recitare gli piaceva e ogni cosa stava andando come previsto. Quando Paolo terminò di proporre l’affare, il vecchio Jack sembrava soddisfatto. Si prese tuttavia qualche giorno per rifletterci su. L’incontro era terminato, tra poco l’avrebbero lasciato andare. “Ci siamo”, pensò Paolo. E con estrema accortezza, mentre giaceva ancora sul letto, iniziò ad armeggiare con l’orlo della giacca finché, senza farsi accorgere, fece rotolare qualcosa di liscio e sottile sul copriletto. Molto lentamente iniziò a spostarsi, spingendo l’oggetto fin sotto il cuscino. Era un oggetto grazioso. A Paolo dispiaceva quasi doverlo perdere. A prima vista sembrava nulla di più che una normalissima penna, ma aveva una spoletta a tempo nascosta all’interno insieme a una potente carica esplosiva. L’invenzione di quegli oggetti, dall’aspetto apparentemente innocuo eppure così letali, risaliva alla seconda guerra mondiale ed erano forniti dall’esercito inglese ai sabotatori francesi durante l’occupazione. Venivano lasciati sui tavoli dei gerarchi nazisti o in altri posti strategici. Paolo era affascinato da quella minuscola bomba. Certo, come mezzo per uccidere non poteva essere sicuro al cento per cento, ma il suo era un rischio calcolato. Come sempre.


Il percorso di ritorno fu identico a quello di andata. Nei pressi dell’area sterrata gli venne tolta la benda. Poco dopo Paolo era di nuovo davanti alla porta d’ingresso del suo squallido monolocale sul lungomare di Ostia. Entrò in casa, stremato da un’improvvisa stanchezza. Si gettò sul letto e si addormentò.


Alle sette del mattino seguente, Paolo si svegliò. Pensò che forse dai quotidiani online su internet avrebbe già potuto sapere se Belladonna fosse morto oppure no. Prese il pc portatile, lo accese e stabilì una connessione alla rete tramite la sua chiavetta. Poi, distrattamente, notò qualcosa vicino al cuscino del letto. Fu allora che vide la penna. La fissò per un attimo, sbigottito. Non riusciva a capire. Poi intuì la verità. Il cuore accelerò i battiti. "Cristo santo,” pensò. “Belladonna non ha voluto rischiare il suo nascondiglio! Non mi hanno portato da nessuna parte! E’ esattamente qui che mi hanno riportato dopo avermi scarrozzato un po’ in giro per le strade. E’ qui che abbiamo parlato. Qui! In questa maledetta topaia!”


Paolo Longo sentì il terrore salirgli prepotentemente dallo stomaco. Provò a fuggire in modo scomposto. La porta era a circa tre metri da dove si trovava il letto. L’esplosione lo uccise dilaniandogli le membra prima ancora che le sue dita riuscissero a sfiorare la maniglia. 


Ringrazio infinitamente l'autore per avermi dato il permesso di diffondere questo meraviglioso ed intenso racconto...


Buona serata...
Buona lettura...
La libraia matta90💛💛💛



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